Trionfa la Germania. Il quarto titolo mondiale è arrivato al termine di una gara vera (diretta da Nicola Rizzoli, magra consolazione nostrana) e intensa, risolta da un guizzo del bambino-prodigio Goetze intorno alla metà del secondo tempo supplementare. La rete decisiva è stata confezionata dai due neo entrati Schurrle e Goetze: il giovane talento del Bayern Monaco ha controllato da campione il cross del compagno, prima di incrociare al volo di sinistro fulminando l’incredulo Romero. Una rete uscita subito dalla cronaca ed entrata di diritto nella storia, quando sul Maracanà aleggiava lo spettro della lotteria dei rigori. Il Mondiale torna a parlare tedesco dopo 24 anni. La Germania – prima squadra europea a trionfare nelle Americhe – rialza così la coppa dopo un digiuno di sei edizioni.
Un torneo sontuoso condito da diciotto reti, sette delle quali inflitte al derelitto Brasile nella semifinale già consegnata alla storia del football. L’ultima volta dei tedeschi fu, ironia della sorte, contro l’Argentina di Maradona sotto il cielo di Roma. Curioso che pure all’Olimpico la sfida terminò 1-0 grazie a un rigore di Brehme nel finale. Del resto era anche giusto che la Nazionale del misurato e bravo Loew si mettesse in regola con la storia e le statistiche. Eguagliata l’Italia che otto anni fa aveva trionfato proprio a Berlino: le due formazioni europee sono ora precedute dal Brasile, a quota 5.
Dopo la mattanza di Belo Horizonte davanti agli occhi attoniti dei brasiliani, i tedeschi godevano dei favori del pronostico. Ma quanta fatica contro un’Argentina indomita e coriacea, capace di costruire le occasioni più nitide nel corso dei novanta minuti. Ai punti la squadra di Sabella avrebbe meritato molto di più. Mascherano (il migliore dei suoi) e compagni sono stati traditi sul più bello proprio dai suoi migliori interpreti: Palacio, Higuain, Aguero, ma soprattutto Messi (sempre più distante dal mito di Diego), comunque premiato miglior giocatore della rassegna. Il talento del Barcellona ha fallito l’appuntamento con la storia giocando una gara incolore (anche per merito dei cerberi teutonici) tristemente riassunta dalla inguardabile punizione finale che spazzava via i sogni di rimonta. L’Albiceleste ha segnato in tutto solo sette reti: troppo poche per vincere un Mondiale.
Ha vinto la squadra migliore, non c’è dubbio, presentatasi alle fasi finali del torneo iridato in una condizione fisica straordinaria. Hummels e Boateng centrali insuperabili davanti all’esperto Neuer (estremo difensore meno battuto), un attacco straripante giusto mix di giovani e vecchi, il record del laziale Klose capace di superare un certo Ronaldo proprio a casa sua (16 reti), la sagacia tattica del capitano Lahm, la straordinaria forza fisica di Schweinsteiger, costretto a chiudere epicamente la sfida con il volto pieno di sangue. L’istantanea più significativa di un popolo mai domo, pugnace e capace di esibire la migliore Nazionale dal dopoguerra a oggi. La vittoria di un collettivo fantastico, vincitore sempre nei novanta minuti (mai ai rigori).
Il successo, legittimo, viene lontano ed è figlio di un progetto solido e razionale iniziato nel 2006, anno dell’ultimo trionfo azzurro. Una rifondazione perfettamente riuscita. La federazione tedesca è stata lungimirante nella valorizzazione dei vivai, dei giovani, così come aveva fatto qualche anno prima la Spagna, altra grande delusa di questo Mondiale verdeoro insieme all’Italia. E’ riuscita alla grande proprio dove noi abbiamo miseramente fallito perché ancora schiavi di una politica calcistica miope, amorale, autolesionistica. Un modus operandi volto a premiare i talenti stranieri a discapito di quelli nostrani. Il trionfo tedesco dovrebbe insegnarci molte cose, indicarci la strada maestra per uscire dal tunnel e rivedere finalmente la luce. Sarà in grado il nostro football di rialzare la testa?
Libero Marino