Il mutamento delle condizioni storico-politiche, del quale è evidente il risultato delle ultime elezioni, ci impone una profonda riflessione sulla forma e struttura politica del Partito Democratico.
E’ necessario, in questo momento molto delicato, che il PD si renda conti dei limiti di questa forma partitica, ormai obsoleta, e studi un percorso per approdare ad un partito più “moderno”, più leggero, più aperto, con un’attenzione e una presenza maggiori nella società, tra gli elettori, tra i cittadini, e un peso minore all’apparato.
Anche questo vuol dire innovazione, progresso, riformismo.
Del resto se ne era accorto anche Bersani quando lo scorso luglio affermava che “Abbiamo bisogno di un partito che sia il più leggero e il più aperto possibile, compatibilmente con la capacità di svolgere quella funziona basica che un partito deve garantire ad un paese. Abbiamo perciò bisogno non di un professionismo di carriera, ma di snodo, legato al riconoscimento della specificità della politica.”
Purtroppo alle parole non sono seguiti i fatti.
Il punto di partenza per rilanciare il partito democratico non può che essere la riforma della forma e della struttura del partito stesso.
Lo ha detto Renzi qualche giorno fa quando ha dichiarato che è necessario uscire dalle vecchie logiche e rivedere i modi di coinvolgimento degli aderenti.
Va valorizzato il territorio, non possiamo più permetterci che interi circoli vengano abbandonati a se stessi nella speranza che i problemi prima o poi si risolvano da soli. Una dirigenza seria li deve affrontare e prendere una decisione, giusta o sbagliata che sia.
Inoltre la valorizzazione del territorio deve portare all’affermazione di una dirigenza locale capace e competente, in grado di dare risposte alla cittadinanza e proporre soluzioni ai problemi locali.
Il cambiamento va poi esteso, contemporaneamente, alla struttura dello Stato e quindi, sempre come detto da Renzi, si rende necessario un piano di riforme che vada dal taglio dei parlamentari, all’abolizioni delle provincie, ad una seria riforma del lavoro che preveda lo sblocco di fondi, vincolati dal patto di stabilità, per far ripartire i cantieri, una maggiore competitività delle nostre aziende e un inserimento più rapido dei giovani nel mondo del lavoro. Inoltre un convinto no ai finanziamenti pubblici ai partiti.
Ma tutto questo non si può fare se non l’accompagnamo con una forte dose di entusiasmo che si trasforma in speranza da parte dei nostri elettori, quello che non siamo riusciti a trasmettere nella scorsa campagna elettorale.
E allora infondiamo la speranza negli italiani, dimostriamo di essere capaci di cambiare e in modo radicale. Non c’è più tempo da perdere, i problemi sono tanti e la crisi non attende, ciò vuol dire che gli italiani non possono più aspettare.
Quindi, cari segretari del PD, a tutti i livelli, rimbocchiamoci le maniche e lavoriamo per il nostro Paese.