di Marco Travaglio [fonte: l’Espresso]
Deputati e ministri già godono dell’immunità. Ma a Berlusconi non basta. Lui vuole evitare i suoi processi per reati comuni. E per questo teme il voto del 12 e del 13
10 giugno 2011

Voterò Sì anche al referendum contro il legittimo impedimento (scheda verde) per un motivo molto semplice: la legge dev’essere uguale per tutti, anche e soprattutto per i governanti. Come del resto è in tutte le democrazie, dove per costoro non è prevista alcuna speciale immunità-impunità. Anzi, in alcuni paesi come la Francia, siccome i ministri non devono essere parlamentari, non godono neppure delle speciali garanzie che tutelano gli eletti dal popolo: possono essere addirittura arrestati, intercettati, perquisiti e indagati per reati di opinione.

Da noi invece cumulano le guarentigie parlamentari a quelle ministeriali. E passi, lo dice la Costituzione. I membri del Parlamento non possono essere arrestati, intercettati o perquisiti senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza; e sono “insindacabili” per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni. E i membri del governo, se commettono reati nell’esercizio delle loro funzioni, vengono processati dal Tribunale per i reati ministeriali, ma solo se la Camera di appartenenza concede l’autorizzazione a procedere. Restano dunque fuori i reati comuni, quelli sganciati dalle funzioni parlamentari e ministeriali. Che, guardacaso, sono proprio quelli per cui è imputato il privato cittadino Silvio Berlusconi, senz’alcun legame con la sua carica di premier: fondi neri Mediaset e Mediatrade, corruzione del testimone Mills, concussione alla Questura di Milano e induzione di Ruby alla prostituzione minorile. Per farla franca anche lì, s’è inventato di tutto. Lodo Alfano: incostituzionale. Lodo Alfano costituzionale: accantonato perché richiede tempi troppo lunghi e maggioranza troppo ampia. Legittimo impedimento: in parte bocciato dalla Consulta il 15 gennaio scorso, in parte no. Cos’è rimasto? Molto, troppo.

La Corte ha cancellato l’automatismo che imponeva ai giudici di sospendere i processi al premier e ai ministri per 6 mesi (prorogabili fino a 18) in base a “un’autocertificazione” firmata da un segretario di Palazzo Chigi che assicurava la loro assoluta impossibilità a comparire in udienza. Ora spetta al giudice verificare se l’impedimento sia reale, legittimo e assoluto, tale da imporre il rinvio dell’udienza. Ciò che la Consulta non ha cancellato, invece, è la previsione di una serie di legittimi impedimenti “speciali” riservati ai membri del governo in quanto tali: non solo le attività di governo (riunioni del Consiglio dei ministri e così via), ma anche quelle di “politica generale” (qualunque comizio o convegno) e addirittura quelle “coessenziali”, “preparatorie” e “consequenziali”. Se anche il giudice non le ritiene legittimi impedimenti, gli avvocati possono impugnare la sua decisione con ricorsi, cavilli, ricusazioni, istanze di rimessione ad altra sede per legittima suspicione, così i processi non finiscono mai.

E’ questa norma ordinaria, tuttora in vigore, che trasforma il premier e i ministri in cittadini più uguali degli altri, in barba all’articolo 3 della Costituzione. In base all’articolo 420 del Codice di procedura penale, il comune cittadino può chiedere e ottenere dal giudice il rinvio dell’udienza che lo riguarda perché, per esempio, quel giorno deve sostenere un esame improrogabile. Ma non nei giorni precedenti e successivi per le attività preparatorie, consequenziali e coessenziali: cioè per preparare l’esame e poi festeggiarne il buon esito con gli amici. Si dirà: ma, per governare serenamente, non ci si può dividere tra Palazzo Chigi, Montecitorio, Palazzo Madama e il tribunale. Giusto. Proprio per questo, negli altri paesi, chi è imputato non diventa né premier né ministro e, se viene imputato quando è già al governo, si dimette: perché ha un legittimo impedimento chiamato “processo”.

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