Raccontare Silvio Berlusconi nello spazio di un articolo è, probabilmente, impossibile. Fornire qualche flash, però, si può fare. Così, rinunciando a ogni “servo encomio” come pure a qualsiasi “codardo oltraggio”, ci si può buttare in un – inevitabilmente parziale – Alfabeto berlusconiano.
A come antiberlusconismo. Ovvero: la casacca indossata da buona parte della sinistra all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Non avendo più un’identità a disposizione, è parso opportuno limitarsi a negare quella altrui.
B come berlusconismo. Religione taciturna le cui pratiche cultuali si espletavano nel segreto dell’urna. Perché passare le ore a discutere coi “comunisti”? Molto meglio dire di avere in antipatia Berlusconi e votarlo in silenzio.
C come comunismo. Mantra delle campagne elettorali del Cavaliere, è una categoria che, in realtà, ha ben poco a che fare con Stalin e l’Urss. I “comunisti” odiati dall’homo berlusconianus sono, infatti, un tipo antropologico tutto italiano. Quello che, per intenderci, ti fa la predica se butti una cicca di sigaretta a terra ma ha ottenuto la sua cattedra universitaria bussando coi piedi alle porte giuste.
D come D’Alema (Massimo). L’uomo che si fa paladino dei diseredati mentre guida il suo yacht a ridosso delle coste pugliesi. L’incarnazione del comunista-tipo.
E come Emilio Fede. Collezionista di magre figure e sedicente playboy. Il suo compito, in Mediaset, era quello di accalappiare il consenso degli over 60. Tra le sue pubblicazioni si annovera Samba dei ruffiani. Tu pensa.
F come Forza Italia. Partito-azienda a basso tasso ideologico e ad alto coefficiente agonistico. In pratica, FI sta alla politica italiana come il Milan di Sacchi sta al calcio della fine degli anni Ottanta. A suo modo, un’idea geniale, degna del Moriae encomium di Erasmo da Rotterdam
G come giornali. Un ramo importante dell’attività imprenditoriale di Berlusconi, che prima della discesa in campo era l’editore più liberale che si fosse mai visto. Per conferma, chiedere a Indro Montanelli.
H come Hussein (Saddam). Feroce dittatore irakeno caduto sotto i colpi di una coalizione militare internazionale guidata – naturalmente – dagli Stati Uniti. Vi prese parte anche l’Italia di Silvio Berlusconi. L’ONU non aveva dato mandato e il suo segretario internazionale, Kofi Annan, condannò l’operazione come illegale.
I come impresa. La principale attività di Silvio Berlusconi. Quella che gli ha permesso di mostrare il suo innegabile talento. Partendo come cantante sulle navi da crociera, il Cavaliere ha infatti messo in piedi un vero e proprio impero finanziario che ha coinvolto l’edilizia (vedi Milano 2) e le telecomunicazioni (Mediaset). Sulla liceità dei mezzi adoperati si è, però, spesso dubitato.
L come lavoro. Una delle parole d’ordine del Cav. e della borghesia imprenditoriale di cui lui è espressione. Anche durante il dibattito con Achille Occhetto, nell’ormai lontano 1994, Berlusconi sottolineava di venire dal mondo del lavoro e delle attività produttive. Come a dire: i miei soldi me li guadagno. Mica come questi comunisti.
M come Milan. Quando Berlusconi la prese, era una squadra con un grande futuro dietro alle spalle. Nel volgere di poco tempo, divenne il club più forte d’Europa. Senza la zona-pressing di Sacchi non avremmo il tiki-taka. Senza la triade olandese e Baresi non avremmo tanti ricordi.
N come Nanni Moretti. Gli ha dedicato un film Il Caimano, del quale è rimasto solo il titolo. Episodio dimenticabile nella produzione di un grande regista che ha commesso l’errore di farsi promotore dell’antiberlusconismo girotondino.
O come Occhetto (Achille). L’uomo della svolta della Bolognina. Il Gorbaciov italiano. La sua “allegra macchina da guerra” andò a sbattere contro il partito-azienda. Massimo D’Alema – da sempre più temibile per gli alleati che per gli avversari – fece il resto.
P come Putin (Vladimir). Uno dei molti amici politicamente imbarazzanti di Berlusconi (un altro era Gheddafi). All’indomani della dipartita del Cavaliere, lo ha definito un leader di livello mondiale.
Q come Que reste-t-il de nos amours? Canzone francese degli anni Quaranta scritta da Charles Trenet e Léo Chauliac. È uno dei pezzi musicali preferiti dal Cavaliere. In qualche strano modo, fa pensare alla passione berlusconiana per il gentil sesso.
R come Ruby. La nipote di Mubarak. Una delle pagine meno onorevoli della nostra storia repubblicana.
S come Santoro. Il grande avversario televisivo. L’uomo che ha sfidato Berlusconi sul terreno della comunicazione da talk-show. Lo scontro, avvenuto il 10 gennaio 2013 su La7 alla presenza di un Marco Travaglio insolitamente ectoplasmatico, vide la vittoria del Cavaliere. Ma il vero trionfo fu dello share.
T come tribunali. Berlusconi ha sempre parlato di fumus persecutionis e magistratura politicizzata. Probabilmente aveva una parte di ragione, specie se si considera la quantità di processi subiti all’indomani del 1994 e la si mette a confronto con quelli precedenti. Anche lui, però…
U come Unione Europea. Prima del 2011, Berlusconi si mostrò riluttante a seguire i suoi diktat. Dopo di allora, viceversa, ha sempre incarnato l’anima schiettamente europeista del centro-destra. Forse c’entra qualcosa l’ascesa di Mario Monti.
V come Verdini (Denis). L’uomo dallo smartphone bollente. Si narra che, a ridosso delle varie crisi di governo vissute da Berlusconi, parlasse a due cellulari in contemporanea.
Z come Zelig. Una delle molte trasmissioni storiche delle reti Mediaset. Si possono citare, tra le altre, in ordine sparso, Striscia la notizia, Non è la Rai, Bim Bum Bam, Maurizio Costanzo Show, Drive in ecc. Emblemi di un’Italia ridanciana e scialacquata di cui però, forse, oggi sentiamo la mancanza.
Post scriptum. C come Craxi. Il primo “uomo solo al comando” della politica italiana. Segno della crisi dei partiti e del nascente culto del capo, il segretario del Psi fu il principale protettore politico di Berlusconi negli anni Ottanta. Cadde sotto i colpi di Mani Pulite. Quando sfidò i membri della Camera ad alzarsi e a giurare la propria estraneità alle pratiche illecite legate al sistema del finanziamento pubblico dei partiti, però, non ottenne risposta.
Tommaso Di Brango