“Per aver, nello svolgimento della professione giornalistica, apportato un autorevole e rilevante contributo, in termini di chiarezza e competenza, all’approfondimento di tematiche politiche, economiche e di attualità”. E’ con questa motivazione ufficiale che gli organizzatori hanno conferito la diciottesima edizione del Premio Giovenale a Lina Palmerini, volto noto televisivo e caposervizio de “Il Sole 24 Ore”.
Dopo tanti uomini, il “Giovenale” è tornato così appannaggio, per la terza volta nella sua storia (dopo Simona Manuela Manzella e Dacia Maraini), di una donna. Una giornalista brillante ed elegante, la Palmerini, che si è guadagnata il proscenio domenica pomeriggio presso la sala consiliare del Comune di Aquino. Dopo aver ricevuto il Premio, la giornalista abruzzese non si è sottratta alle domande sottopostele dall’assessore alla Cultura Carlo Risi, cui ha risposto con il rigore e l’obiettività che la contraddistinguono. Ne è scaturita una instantanea interessante sulla società di oggi che ha incuriosito i tanti presenti.
Che effetto le fa ricevere un Premio intitolato a un autore come Giovenale non proprio tenero con l’universo femminile?
“E’ un riconoscimento che mi onora e mi commuove. Mio padre, scomparso alcuni anni fa, era una grande appassionato del poeta satirico aquinate. Sono felicissima che il prestigioso albo d’oro del Premio annoveri, ora, anche il mio nome. Giovenale era celebre anche per la sua misoginia, e prendeva di mira, in particolare, le donne più contigue al potere. Questo stereotipo lo accompagna da sempre e mi offre lo spunto per ribadire che noi donne dovremmo fare meno vittimismo e rivendicare, contro il maschilismo imperante, i giusti spazi”.
Si rivede in qualche misura in Giovenale?
“In un certo senso sì. Il poeta di Aquino possedeva tutte le caratteristiche che dovrebbe avere il giornalista di oggi. Chi fa questo meraviglioso mestiere deve essere pungente, incisivo, e non limitarsi solo raccontare la realtà: il vero giornalista deve offrire una sua chiave di lettura esprimendo sempre un suo personale punto di vista”.
Lei, poco incline ai social, è solita frequentare i salotti televisivi: che ruolo attribuisce, da questo punto di vista, alla comunicazione nel dibattito pubblico in un sistema democratico come il nostro?
“Ho preso da tempo le distanze dai social, è vero, non mi piace la modalità con cui si veicolano certe informazioni, esprimono una mentalità provinciale e non giovano all’approfondimento. L’informazione per me è altro, è fatta di numeri, di dati, di analisi. Il giornalismo, così come la politica, si basa su una relazione con l’altro, alla fine tu sei portato a dare quello che gli altri ti richiedono. Vorrei che i mei ascoltatori e i miei lettori diventassero più esigenti, avessero un ruolo più attivo, la qualità dell’informazione dipende molto anche dal suo fruitore, non può essere una relazione a senso unico”.
Oggi assistiamo a una crescente disaffezione per la politica. Quanto, a suo avviso, sta incidendo l’informazione su questo fenomeno sempre più diffuso?
“E’ cambiato radicalmente l’approccio alla politica, per me l’informazione c’entra poco con questa disaffezione sempre più evidente e preoccupante. Una volta esisteva la partitocrazia, ora, per dirla con un celebre politologo, esistono le correnti senza i partiti. Si è registrata nel tempo una forte degenerazione, è rimasta solo la pratica di mettere le mani sul potere e sono venute fatalmente meno le scuole di formazione politica. Non esiste più un’idea di rappresentanza, complice anche la legge elettorale. Tutto questo a discapito del pensiero, dell’ideologia, come testimonia l’astensionismo delle ultime elezioni. In Italia le legislature durano cinque anni e i Governi solo uno: questo malcostume tutto nostro non porterà da nessuna parte”.
Che giudizio si sta facendo sul nuovo Governo ?
“C’è una crisi di sistema molto forte che prescinde dai vari schieramenti, in tanti anni non mi era mai capitato di assistere a una vittoria elettorale così poco celebrata. La Meloni deve prendere coscienza che il concetto di sovranità è poco adattabile al nostro Paese, l’Italia fa parte della moneta unica europea, è assurdo fare certe rivendicazioni. Dalle larghe intese agli esperimenti tecnici, si è passati a un Governo che, vista l’allarmante mancanza di coesione politica, farà fatica, a mio giudizio, a nascere. Affiorano già i primi dissidi, tiene banco la ricattabilità di questo o di quell’altro e così si perdono fatalmente di vista le vere e drammatiche emergenze del Paese come il debito pubblico, il caro – bollette, la crisi sempre più nera del settore manufatturiero, con lo spettro del conflitto in Ucraina. Esiste ancora troppa disuguaglianza tra le classi sociali e il reddito di cittadinanza non è certo la panacea di tutti i mali”.
Ci spieghi meglio…
“Io vengo da una piccola realtà come quella abruzzese, e mi sento una donna del Sud, un’area geografica storicamente martoriata dove non c’è lavoro, latitano le imprese e le infrastrutture, deficienze antiche che costituiscono il terreno fertile per l’infiltrazione della criminalità. Il reddito di cittadinanza, tanto caro ai Cinquestelle, fornisce un aiuto solo momentaneo al beneficiario condannandolo per sempre, invece, al “respiratore” dello Stato. E’ una grandissima presa in giro, così non si conducono le battaglie contro la disuguaglianza”.
Archiviato il Governo tecnico di Draghi, è tornato il conflitto politico: lei ritiene che questo sia un bene per la dinamica fisiologica della democrazia?
“Sì, mi auguro vivamente che il successo elettorale della Destra porti a un ripristino di un circuito “virtuoso”, finalmente normale, che segni una svolta decisiva rispetto al recente passato. Il nostro Paese, indietro nelle gerarchie europee, ha bisogno di una bella boccata d’ossigeno. E’ ora di ripartire”.
Libero Marino