C’era una volta il calcio ad Aquino. Non è il titolo di un libro, ma solo il triste epilogo del longevo sodalizio bianconero. La formazione aquinate per la prima volta, dal 1950, non prenderà parte ad alcun torneo dilettantisco provinciale. Una notizia che suona come una condanna a morte della disciplina che ha appassionato tanti aquinati dal dopoguerra a oggi. Il possibile salvataggio della matricola (numero 2640) non basta a mitigare la delusione. Che il calcio ad Aquino non godesse di ottima salute era noto a tutti, l’ultima stagione (Seconda Categoria) condita dal record negativo di punti aveva fatto registrare il primo campanello d’allarme. Un manipolo di giovani volenterosi quanto acerbi aveva scritto la pagina più nera della storia calcistica aquinate. Il calcio era ufficialmente entrato in coma prima di conoscere la fine. E così dopo tanti anni il vecchio e glorioso Comunale, testimone di tante battaglie e fucina di tanti ricordi, la domenica rimarrà chiuso. Chi scrive è un nostalgico, figlio di quegli anni Ottanta straordinari, quando il calcio era ancora genuino, lontano dalle brutture di quello moderno.
La domenica pomeriggio al Comunale si consumava una sorta di rito religioso, dopo il pranzo non potevi non varcare l’ingresso di quel campo dove eri cresciuto rincorrendo felice un pallone. Erano gli anni spensierati dell’adolescenza, quando non c’erano le televisioni a pagamento e il pubblico aquinate riempiva il Comunale sistemandosi dietro la rete di recinzione. Si mangiava pane e calcio, l’orecchio era incollato alla radiolina con le mitiche voci di Ciotti e Ameri pronte ad aggiornare i risultati della Serie A. Un catino ribollente di passione genuina, fortino quasi inespugnabile, che ora deve fare i conti con il misero presente. Vabbè dai, obietterà qualcuno, ci sono le due formazioni degli Amatori a edulcorare l’amara pillola calcistica, ma – con tutto il rispetto – non è la stessa cosa. Non esportiamo certo una bella immagine della città, il calcio è uno spaccato della nostra società e la sua scomparsa non è per nulla edificante. Un colpo al cuore, non c’è dubbio, per i tanti tifosi e appassionati che appena otto anni fa, dopo il clamoroso 3-3 di Arce (maggio 2007) che spalancò le porte della Prima Categoria, sognavano in grande. L’impresa del meritatissimo terzo posto targato D’Ammassa (uno dei migliori piazzamenti della storia), l’epica vittoria contro il Ceccano davanti a una cornice di pubblico sontuosa e forse irripetibile (800 spettatori), l’onore di figurare nella prestigiosa vetrina della Coppa Lazio, la premiazione, appena un anno fa ad Ariccia, come una delle società più longeve del Lazio: ricordi bellissimi, cancellati in un solo colpo dalla mancata iscrizione al campionato.
Chi ha rotto il giocattolo? In questo momento triste e difficile puntare l’indice contro questo o quello sarebbe esercizio vano e infruttuoso. Così come quando si vince è giusto ripartire i meriti, allo stesso modo, quando si tocca il fondo, è opportuno dividere le responsabilità. Chi ha sbagliato è giusto che si interroghi e corra subito ai ripari, facendo rinascere la “pedata” aquinate. Occorre una programmazione seria che consenta al calcio aquinate di rivedere presto la luce. Evitando possibilmente di attingere altrove (esperimento rivelatosi negativo nel recente passato), ma lavorando in casa nostra dove i giovani talenti non mancano senza, però, assencondarne le (assurde) pretese economiche. Magari ricordando loro che il calcio è sport e non mera merce. Ripartire dal settore giovanile, serbatoio imprescindibile per una società lungimirante è la strada maestra della rinascita calcistica. Tornare protagonisti si deve e si può, basta solo crederci.
Libero Marino