Esperienza e autorevolezza al servizio delle istituzioni. E’ la storia dell’esemplare percorso di Tommaso Miele, classe 1956, eminente giurista di Aquino, da ormai 36 anni alla Corte dei conti, importantissimo organo di magistratura contabile, la più antica del Paese e che proprio lo scorso ottobre ha tagliato l’invidiabile traguardo dei 160 anni.

Una carriera luminosa, in crescendo, culminata – nel dicembre del 2021- con la nomina a presidente aggiunto della Corte dei conti. La vita di Miele è scandita da mille impegni che lo portano a girare un po’ tutto lo Stivale, tra convegni, cerimonie e riconoscimenti. Miele vanta anche una lunga collaborazione (dodici anni in tutto) con l’autorevole quotidiano il Sole 24 Ore, ha pubblicato una trentina di libri, e oggi scrive per l’Espresso. Dal 28 novembre 2018 è iscritto anche nell’Elenco speciale annesso all’Albo dei Giornalisti.

Nel 2011 sfiorò la nomina a giudice della Corte Costituzionale, e dal 2019 è presidente dell’importante sezione giurisdizionale della Corte dei conti del Lazio. Un curriculum che parla da solo e testimonia la levatura del magistrato di Aquino, dove talvolta fa ritorno per godersi un po’ di relax nella sua abitazione in centro. Nella quale mi accoglie nel corso di un primaverile pomeriggio di fine dicembre tenendomi incollato per un paio di ore. L’eloquio è torrentizio, l’aquinate risponde alle mie domande con la schiettezza che da sempre lo contraddistingue.

 

Si è concluso il suo primo anno da presidente aggiunto della Corte: vuole tracciare un bilancio?

“In questi dodici mesi, essendo componente di diritto del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, ho cercato di creare un clima di pacificazione tra la componente laica (cui sono vicino come cultura e come linea di politica istituzionale) e la componente magistratuale più ancorata alle posizioni tradizionali della Corte dei conti. Il contrasto in seno alla Corte, tuttavia, è rimasto forte. Io sono per una linea (e lo dirò all’inaugurazione dell’anno giudiziario prevista il prossimo 4 marzo) che vede la Corte non più repressiva, ma più vicina agli amministratori e ai dirigenti pubblici. Oggi gli amministratori devono fare i conti con  la cosiddetta “paura della firma” che rallenta fatalmente lo svolgimento dei procedimenti e dei lavori pubblici. Proprio per questo io ritengo che oggi la  Corte debba svolgere una funzione più consultiva e di guida per le amministrazioni, che dia più indicazioni e indichi subito la strada da seguire”.

Una vita, la sua, condotta a ritmi forsennati scandita com’è da mille impegni…

“Svolgo quattro incarichi, ognuno dei quali andrebbe ricoperto da un solo magistrato. Sono presidente aggiunto della Corte dei conti dal dicembre 2021, presidente giurisdizionale della Corte dei conti del Lazio dal 2019, sezione venti volte più corposa di una normale sezione regionale, e sono chiamato a svolgere una mediazione tra la componente laica, votata dal Parlamento in Consiglio di presidenza, e quella togata. Essendo inoltre uno dei tre vertici della Corte, partecipo di diritto al Consiglio di presidenza, nostro organo di autogoverno. Incarichi prestigiosi quanto impegnativi. Sono anche direttore del servizio massimario e della rivista e, in tale veste, anche direttore della rivista della Corte dei conti, prestigioso organo scientifico recentemente classificato dall’Anvur che, grazie a una mia rivoluzione, ho portato a livelli altissimi: è un organo di stampa autorevole che si compone di un comitato scientifico di primissimo piano. Sono, infine, il magistrato della Corte delegato al controllo finanziario di Leonardo spa, azienda leader a livello mondiale nel settore degli armamenti e quotata in borsa”.

Chi è Tommaso Miele?

“Uno che ha creduto sin dall’inizio nei propri mezzi. Sacrificio e determinazione mi hanno portato lontano, nessuno mi ha regalato nulla. Sono approdato giovanissimo alla Corte nel lontano 1986, dopo la rigorosa formazione presso l’Accademia di Polizia e la laurea in Legge conseguita a Firenze. Dopo tanti anni ho perso ormai i freni inibitori, in seno alla Corte la mia è la classica voce fuori dal coro, ma ho maturato la giusta autorevolezza per dire quello che penso, sarò anche impopolare, ma mi faccio rispettare e non faccio sconti a nessuno: di me spesso dicono che ho la pancia curva e la schiena dritta, sono un uomo libero, privilegio che pochi possono permettersi”.

Nel 2015 assurse agli onori delle cronache nazionali per la nomina in Lega Pro…

“Accettai l’incarico consapevole dei rischi cui sarei andato incontro, furono sei mesi intensi durante i quali ho conosciuto tante persone, ero schiacciato dalle due correnti, quella di Tavecchio e Lotito, e l’altra riconducibile ai vari Gravina, Ghirelli e Abete. Ho schivato tante polpette avvelenate, non feci sconti a nessuno fino a indire le elezioni. Il mondo del calcio è inficiato da un costume che a me non piace, girano troppi soldi e molti personaggi poco raccomandabili. Un’esperienza di cui conservo un ricordo agrodolce”.

Ha menzionato Lotito: che personaggio è?

“Claudio è un vulcano, un uomo intelligente che sa il fatto suo. I nostri rapporti inizialmente non erano molto idilliaci, ma poi siamo diventati grandissimi amici. Spesso assisto con lui, dalla tribuna autorità dell’Olimpico, alle partite interne della Lazio. Lo stadio è una bella vetrina, la partita resta sempre un bello spettacolo anche se il calcio non lo seguo più come una volta. E’ un bel contesto, terreno fertile per coltivare pubbliche relazioni”.

 

Qual è lo stato di salute della giustizia italiana?

“Al Rotary Club di Fiuggi, nello scorso ottobre, parlando degli aspetti positivi e negativi della giustizia italiana, ribadii che per parlare di dritto della giustizia ci si metterebbe poco, per il rovescio ci vorrebbe molto di più. Ci sarebbe tanto da dire in merito al rapporto tra giustizia ed etica. A questo proposito ho sempre affermato che chi abusa della funzione, chi la esercita con finalità diverse da quelle che la Costituzione e le leggi le attribuiscono, danneggia l’intera collettività. La funzione giurisdizionale deve essere neutra, imparziale, sempre garanzia di giustizia e svolta nell’interesse pubblico e non deve mai sconfinare nel potere che è invece abuso del diritto, distorsione deontologica, tipica ancora purtroppo, mi duole dirlo, di molti miei colleghi”.

Ci spieghi meglio…

“Non tollero che un magistrato, chiamato a decidere circa la vita di una persona, voglia fare a tutti i costi il protagonista per guadagnarsi un trafiletto sui giornali. Chi esercita questa funzione delicatissima deve essere equilibrato, giusto, saggio, valori ancora più importanti della preparazione stessa”.

Che cosa le sarebbe piaciuto diventare se non avesse fatto il magistrato ?

“Se tornassi indietro farei senza dubbio l’avvocato, il notaio e il professore universitario. Era quella la mia vocazione. Sono felicissimo che i miei due figli abbiano intrapreso da poco la carriera di avvocato, professione oggi non più semplice, in Italia ce ne sono circa 200 mila. L’importante, e lo dico ai giovani, è perseguire con tenacia e feroce determinazione qualsiasi obiettivo. Il lavoro, alla fine, paga”.

Mutatis mutandis, si rivede in una certa misura nel nostro grande Giovenale?

“Non voglio paragonarmi a un insigne personaggio della letteratura latina, grande aquinate del passato e maestro di satira. Mi fa piacere che la sua figura sia stata nel recente passato rivalutata dai miei concittadini attraverso l’istituzione di un premio capace di restituire la giusta dignità a un grande poeta che, a modo suo, censurò la Roma imperiale”.

Libero Marino