“Cara Liviuccia, lettere alla moglie”. E’ il titolo dell’ultimo libro, edito da Solferino, curato da Stefano e Serena Andreotti, due dei quattro figli di Giulio Andreotti. Un lavoro certosino, che ricostruisce il fitto carteggio intercorso tra il sette volte presidente del Consiglio e Livia Danese, sua inseparabile compagna di vita. Le lettere che il Divo Giulio scriveva alla consorte, derogando alla sua fittissima agenda di impegni, coprono circa cinque lustri (dal ’46, anno successivo alle loro nozze, fino al ’70) e restituiscono una dimensione inedita del leader della Dc, straordinario testimone e protagonista della cosiddetta Prima Repubblica. Un Andreotti intimo, privato, capace di slanci affettuosi nei confronti della moglie e della sua prole. La dimensione privata si intreccia fatalmente con quella pubblica: ne esce fuori uno spaccato significativo della Roma e dell’Italia del dopoguerra.
Andreotti, ricambiatissimo, amava il territorio ciociaro, sua storica roccaforte elettorale. Non si contano le visite nel Frusinate, come testimoniano i precedenti libri (“I diari segreti” e “I diari degli Anni di Piombo”, sempre curati da Stefano e Serena), pieni di riferimenti alla Ciociaria. Anche la città di Aquino ha avuto negli anni il privilegio di ospitare, in più di una circostanza, il senatore a vita.
L’ultima è datata 24 settembre 2006, in occasione della seconda edizione del Premio Giovenale, nella bella cornice della piazzetta dei Conti di Aquino. Anche allora, a dispetto dell’ormai avanzata età, l’illustre ospite argomentò con sorprendente lucidità le tematiche sottopostegli. A distanza di 9 anni dalla morte, avvenuta nel maggio del 2013, Stefano e Serena si sono dedicati a salvaguardare la memoria di un uomo che, oltre a essere stato il loro papà, ha legato in maniera indissolubile il suo nome a un segmento importante della storia del nostro Paese. Ne parliamo proprio col figlio Stefano, gentilmente concessosi ai nostri microfoni.
Salve signor Andreotti e grazie per la disponibilità. Da dove nasce l’idea di pubblicare il carteggio tra i suoi genitori?
“Io e Serena, orami pensionati, negli ultimi anni stiamo tentando di mettere ordine alla vastissima documentazione scritta lasciataci da nostro padre. Dopo il buon successo dei precedenti Diari, abbiamo deciso di riportare alla luce anche le numerose lettere che papà inviava a nostra madre. E’ stato un lavoro meticoloso, di cui siamo fieri, che serve anche, in qualche misura, a rendere giustizia a nostro padre, che nell’immaginario collettivo è una figura chiusa, anaffettiva, cinica. Le lettere rivelano invece una persona completamente diversa, solare, aperta al dialogo e sempre incline alla battuta”.
La signora Livia, invece?
“Mamma era il capofamiglia. Papà, per ovvi motivi, spesso non era presente con noi eccezion fatta per i fine settimana. Nostra madre era così costretta a sdoppiarsi, era lei a dettare le regole, a impartire gli ordini, ci faceva studiare e, come papà, ci riempiva di premure e attenzioni. Nelle sue vene scorreva sangue ciociaro: suo padre Ruggero, ingegnere delle Ferrovie dello Stato, era nato a Cassino”.
Che famiglia è stata la vostra?
“ll più grande vanto di mio padre era quello di aver costruito, per dirla alla sua maniera, una famiglia sanamente normale dove la politica è entrata poco”.
Ha mai pensato di ripercorrere le orme di suo padre?
“Assolutamente no, me ne sono sempre ben guardato, come del resto i miei fratelli. Abbiamo fatto scelte diverse, ognuno ha intrapreso il percorso professionale che meglio si addiceva alle rispettive inclinazioni. Io, ad esempio, ho lavorato per oltre 40 anni in una grande azienda come la Siemens, di cui sono diventato direttore. Un’esperienza che mi ha arricchito e mi ha consentito di conoscere tante realtà. Se mi fossi affacciato alla vita politica, in virtù dell’importante cognome che porto, avrei magari fatto carriera, ma a me francamente interessava fare leva solo sulle mie capacità”.
Oltre alla politica, quali sono state le altre grandi passioni di suo padre?
“L’ippica e il calcio. Fin da giovane papà era solito frequentare gli ippodromi, quello di Villa Glori (nella zona dell’attuale stadio Flaminio) e Tor di Valle. I cavalli lo divertivano molto, scommetteva anche piccole cifre. Poi l’amore per la Roma, di cui non ha fatto mai mistero. Una passione antica che affondava le radici nella sua giovinezza. Lui, nato in via dei Prefetti, a due passi da Montecitorio, spesso si imbatteva nei calciatori scapoli della Roma che non di rado pranzavano presso una trattoria non lontana da casa sua. La Roma l’ha seguita molto anche allo stadio, fino agli anni di Piombo.”
Nonostante suo padre, lei è un grande tifoso della Lazio…
“Sì, sono diventato tifoso biancoceleste all’età di 4 anni e a 11 ho sottoscritto il primo abbonamento allo stadio. Passione che ho trasmesso a mio figlio Giulio con cui la domenica seguo le gesta della squadra di Sarri dalla tribuna Tevere. Se ho preferito i colori biancocelesti a quelli giallorossi, il “merito” è di mio cugino, lazialissimo, figlio del fratello di mio padre. Comunque, con papà non c’erano assolutamente problemi sotto questo aspetto, ci limitavamo solo a qualche simpatico sfottò in occasione dei derby, molti dei quali li abbiamo vissuti insieme allo stadio”.
Suo padre, tra le tante cose, ha dato anche un grande impulso allo sport…
“Certamente. Non dimentichiamo che nel 1947, giovanissimo, all’alba della sua lunghissima esperienza politica, fu nominato da De Gasperi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con deleghe al Cinema e allo Sport. In quella veste si adoperò, insieme all’allora presidente del Coni, l’avvocato Giulio Onesti, affinchè fosse statalizzata la schedina del Totocalcio, con cui si finanziò lo sport in Italia. Poi fu il grande organizzatore delle Olimpiadi di Roma del 1960, che offrirono un’immagine della Capitale e del nostro Paese decisamente rinnovata rispetto al disastro lasciato dalla Seconda guerra mondiale”.
Il leader della Dc è stato un grande protagonista della Prima Repubblica. Quanto è cambiata la politica rispetto ai tempi di suo padre?
“E’ cambiata radicalmente la società. Se fosse ancora vivo, mio padre censurerebbe due aspetti dell’universo politico di oggi. Il primo, sottolineato anche da molti, è la mancanza di preparazione. Sono venute fatalmente meno le scuole di formazione politica, i giovani non vengono più forgiati, una volta la gavetta era quasi fisiologica, oggi molti personaggi appartenenti ad altri contesti vengono incautamente prestati alla politica, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Un’altra cosa che papà non gradirebbe è questa sempre più frequente propensione all’invettiva, alla polemica feroce, all’accusa gratuita. Manca il rispetto, papà non si riconoscerebbe sicuramente in questo mondo”.
Un politico molto legato alla Ciociaria…
“I miei nonni paterni erano originari di Segni, comune ai confini con la Ciociaria, dove tornava spesso per le vacanze estive e talvolta nei week end. Che bei ricordi quelle tavolate domenicali con tutta la famiglia riunita. Papà conosceva molto bene il territorio dove aveva tantissimi amici, le pagine dei suoi Diari sono piene di appuntamenti nel Frusinate, non c’è paese che non abbia visitato. Non dimentichiamo poi che fu lui a premere affinchè lo stabilimento Fiat sorgesse a Cassino”.
Una carriera straordinaria con tantissime luci ma anche qualche ombra…
“Papà soffrì molto durante il periodo in cui fu coinvolto nei vari processi, una pagina tristissima che ha segnato non solo lui ma anche il resto della nostra famiglia. Poi l’omicidio Moro, durante il quale era presidente del Consiglio, e l’eccidio della sua scorta. La più grande ferita per papà, al di là delle ignobili polemiche che tengono banco ancora oggi. Ho vissuto con mio padre quei giorni drammatici del 1978, abitavo ancora con i miei nella casa di Corso Vittorio, papà non meritava di soffrire così”.
Libero Marino