Gabriele D’Annunzio e la musica. Questo l’argomento del dibattito svoltosi venerdì pomeriggio a Cassino, presso la Biblioteca Comunale. L’incontro culturale – organizzato dall’Associazione Archeo Club presieduta dall’architetto cassinate Picano – è stato animato dal professore Raffaele Pellecchia (nella foto). Aquinate doc e docente noto e stimato in tutta Italia, Pellecchia ha vivacizzato la conferenza tenendo banco per più di un’ora al cospetto di un folto pubblico. Presente anche una discreta rappresentanza aquinate capitanata dal vice sindaco Marco Iadecola. Il professore ha offerto alla platea uno spaccato inedito del poeta pescarese alle prese con il suo personalissimo rapporto con la musica, che fu uno dei tratti significativi della sua cifra culturale, e capace di ispirare alcuni suoi capolavori. Nella sua turbinosa esistenza, infatti, l’aspetto musicale giocò un ruolo tutt’altro che secondario.
E’ venuto così in superficie un D’Annunzio nuovo, non solo l’eroe nazionalista e l’esteta artigiano di neologismi o il dominus incontrastato dell’Eros. Una prospettiva inedita dalla quale Pellecchia si è mosso abilmente percorrendo in retrospettiva, con singolare maestria, le fasi salienti dell’intimo rapporto tra il pescarese e la musica. Che il poeta definì “il sogno del silenzio” e “l’esaltatrice dell’opera di vita”, prima di invitare Toscanini a Fiume per tenervi un concerto: dichiarazioni d’amore programmatiche che avrebbero rappresentato un po’ il filo conduttore della sua corposa produzione.
La discussione è poi entrata nel vivo quando il docente aquinate ha indugiato sulla polemica virulenta che scoppiò tra Nietzsche e Wagner. Il Vate abruzzese non esitò a parteggiare per quest’ultimo (cui dedicò il finale dell’Alcione) difendendolo strenuamente – sulle pagine del quotidiano romano la “Tribuna” – dai feroci attacchi del filosofo tedesco. Il quale aveva sprezzantemente apostrofato il suo connazionale come “artista della decadenza”, una “diminutio” che non lasciò indifferente il poeta italiano. Quello con il “nume di Bayreuth” fu un rapporto molto intenso che conobbe il suo picco più alto durante la sua parentesi a Napoli (intorno al 1890). Una ammirazione profonda della quale si trovano gli echi in opere come il “Trionfo della Morte” e le “Vergini delle Rocce”. Un artista, l’abruzzese, che ancora fa discutere a distanza di oltre un secolo.
Libero Marino