In un contesto socio-economico provinciale già fortemente provato da numerose crisi aziendali, che hanno sensibilmente compromesso i pregressi livelli occupazionali, gettando numerosi lavoratori ed intere famiglie nello sconforto, se non addirittura – in alcuni casi – nella più cupa disperazione, la nota diffusa a mezzo stampa un paio di giorni fa, attraverso la quale la FIAT Automobiles di fatto sconfessa il piano di investimenti di circa 11 miliardi nel settore annunciato nella primavera 2010 nel settore automobilistico, costituisce un ulteriore elemento di seria preoccupazione per le presumibili ricadute sullo stabilimento di Piedimonte San Germano, che occupa quasi 4000 lavoratori e sostiene un indotto di pari ammontare e che già vive un momento difficile, con l’attivazione oramai da tempo della cassa integrazione.

Le ragioni – secondo la nota della FIAT – sono di duplice ordine: da un lato, il mutato contesto economico, che esige una revisione dei costi negli investimenti; dall’altro, la oramai raggiunta dimensione multinazionale della azienda del lingotto, con conseguente diritto della proprietà di compiere scelte industriali, anche all’estero, in assoluta autonomia “pensando prima di tutto a crescere ed a diventare più competitiva”. 

In estrema ma fedele sintesi, la FIAT esclude un nuovo progetto industriale per l’Italia e quindi per Piedimonte San Germano, perché economicamente non più conveniente, dovendo l’azienda “prima di tutto” conseguire il profitto e remunerare l’imprenditore.

L’allarme tra le forze politiche è scattato immediato, tant’è che il Consiglio Regionale del Lazio, su proposta del consigliere dell’IDV A. Tedeschi, ha approvato all’unanimità delle forze politiche una mozione che impegna la Giunta regionale ad ogni più tempestiva ed opportuna iniziativa tesa a scongiurare il rischio occupazionale, mantenendo i livelli produttivi.

L’UDC di Frosinone, esprimendo piena adesione alla mozione, manifesta viva preoccupazione per le conseguenze negative che il ridimensionamento degli investimenti e quindi dello stabilimento FIAT potrebbe produrre sul tessuto socio-economico non solo del cassinate, ma dell’intera provincia, già di per sé martoriata.

La ragione secondo cui l’impresa deve “prima di tutto”, cioè “soltanto”, guardare al profitto sottende un equivoco di fondo che si dipana da una discutibile concezione delle libertà economiche e segnatamente della libertà di iniziativa privata, che non può trovare ospitalità nel nostro sistema.

L’attività economica, infatti, non può riduttivamente risolversi esclusivamente nella logica della massimizzazione del profitto, come se l’impresa fosse avulsa dal contesto sociale e personale in cui   trova il suo concreto svolgimento.

Né d’altro canto lo Stato può, per salvare posti di lavoro, accollarsi il deficit di un’azienda, ciò che non solo contrasterebbe con il principio di libera concorrenza ma, deresponsabilizzando l’impresa,  nel lungo periodo produrrebbe danni ancor maggiori, come le numerose vicende di capitalismo assistito hanno da sempre evidenziato.

Costituisce principio consolidato nella “dottrina sociale” quello della “responsabilità sociale dell’impresa” secondo cui – posto che l’azione economica ha sempre un valore morale – la gestione dell’impresa non può tener conto soltanto degli interessi dei proprietari, ma deve farsi carico anche di tutti quelli delle altre categorie di soggetti, che contribuiscono alla vita dell’impresa: innanzitutto i lavoratori, i fornitori, i clienti, le comunità di riferimento.

In altri termini, l’impresa multinazionale – nell’optare per una delocalizzazione – non può limitarsi a fare esclusivamente delle valutazioni di bilancio o di diverso e più vantaggioso contesto giuridico-economico, dovendo invece essa considerare le persone, le famiglie, le comunità che hanno contribuito allo sviluppo dell’impresa.

Non a caso la nostra Costituzione, nel riconoscere la libertà economica, pone ad essa un limite, vietando che possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in danno della dignità umana (art. 41).

D’altro canto, se ad ogni cittadino è espressamente richiesto “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale” (art. 2), non si comprende perché il cittadino imprenditore dovrebbe essere esonerato da siffatti oneri di solidarietà.

Questo per dire che la “solidarietà nell’impresa e dell’impresa” non è affatto un esito “inintenzionale”, un optional , bensì l’approdo fisiologico dell’istituzione.

Il che ovviamente non esime le forze politiche di governo dall’adozione di tutte le iniziative tese a dissuadere le delocalizzazioni attuando delle serie politiche industriali e di lavoro che quelle scelte disincentivino.

Il parlamentare cassinate UDC on. Anna Teresa Formisano, nella sua qualità di membro della Commissione Attività Produttive della Camera, ha già interessato della vicenda il sottosegretario De Vincenzi, titolare della delega del governo sulle crisi aziendali e l’auspicio è che – dopo la battaglia per il Tribunale di Cassino – anche questa sfida possa essere vinta.

Avv Carlo Risi

Vicepresidente provinciale UDC

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *