Meraviglia, e non poco, come sulla scia dell’emotività ben quattro personaggi di spicco del nostro panorama politico – ivi incluso un europarlamentare – abbiano preso posizione, per di più senza essere bene informati, sulla questione politica del “denegato accesso alla sala consiliare” mentre nulla costoro hanno detto e\o fatto, ad esempio, sull’unico grave precedente nazionale occorso al Comune di Aquino nella nota “vicenda dissesto”.
Ma, evidentemente, la montatura della “sala consiliare” intacca, secondo costoro, diritti ben più pregnanti rispetto a quelli – puramente numerici – che possono riguardare un Comune che “dissesta” e che, poi, immediatamente ed improvvisamente “riassesta” grazie al rinvenimento dei documenti.
Sennonché – essendo lo scrivente intervenuto preventivamente sull’insussistenza delle cause del dissesto quando da più parti si gridava, invece, al fallimento dell’ente – pare opportuno allo stesso scrivente rappresentare che il problema della “concedibilità della sala consiliare” non si risolve attraverso l’inutile e sterile diatriba ottocentesca rievocante “grida” di manzoniana memoria, bensì attraverso la valutazione della legittimità o meno dell’istanza presentata non potendo, di certo, essere concesso un luogo istituzionale senza che gli organizzatori abbiano avuto il “buon senso” di ritenere quella manifestazione come “pubblica” – o quantomeno “a rilievo pubblico” (come, invece, erroneamente ritiene l’europarlamentare remittente) sforzandosi, invece, costoro di specificare nella citata istanza che quella “consorteria organizzativa” aveva precipua finalità ideologica essendo, dichiaratamente, rivolto quell’incontro ai soli iscritti partitici o, quantomeno, a coloro che ne fossero stati almeno simpatizzanti.
Ed allora è il caso di sottolineare che la sala istituzionale di un ente pubblico non è “luogo pubblico” propriamente detto e nemmeno “aperto al pubblico” tale da consentire a chiunque e per qualsivoglia ragione il libero accesso; essa va inquadrata, invece, nella proprietà-pubblica dell’ente che per essere esternata deve, quantomeno, riguardare manifestazioni ed iniziative “a rilevanza pubblica” accessibili cioè, almeno potenzialmente, a chiunque, senza vincoli d’iscrizione e simpatia politica.
Diversamente sarebbe stato se si fosse trattato di una “iniziativa aperta”.
Da questo punto di vista, anzi, meraviglia come uno dei richiedenti abbia invocato esemplificativamente “le primarie” del PD.
All’amico disinformato lo scrivente ricorda, allora, che se da un lato le richiamate consultazioni hanno riguardato il PD, dall’altro in quella occasione tutti hanno avuto la possibilità di partecipare senza la necessità che all’elettore venisse richiesta l’esibizione della tessera partitica: il Cittadino che avesse voluto votare alla primarie era tenuto solo a versare la somma di 1 euro e ad esibire il proprio documento d’identità.
Le consultazioni delle primarie, pertanto, hanno rispettato – e rispettano – sia il principio personale di eguaglianza sia quello organizzatorio “dell’apertura pubblica dell’iniziativa” senza far ricorso ad alcuna verifica preventiva dei “vincoli ideologici” quali la simpatia o l’affinità politica anzi, da questo punto di vista, l’istanza denegata presenta i requisiti d’inaudita gravità se fosse stata, ma lo scrivente non lo crede, realmente voluta come tale (cioè ideologicamente orientata) dai propri presentatori.
Ed invero, chi avrebbe dovuto valutare – ai fini dell’accesso alla sala – la simpatia politica verso quelle ideologie e con quali conseguenze?
L’esito negativo della valutazione d’appartenenza all’ideologia, forse, avrebbe anche potuto comportare l’espulsione del malcapitato da quel luogo?!
Che necessità v’era di presentare l’istanza così ideologicamente orientata se l’iniziativa viene qualificata, oggi, come pubblica?
Aquino, 19 aprile 2012
Emanuele Tomassi