da www.ilsole24ore.com articolo dell’ 8 settembre 2010

L’energia atomica come quella progettata per il “rinascimento nucleare” in Italia chiede investimenti decisamente impegnativi, non meno di 5 miliardi per ogni reattore, in cambio di uno sconto sui costi di produzione dell’elettricità capace di regalare a lungo termine un vantaggio che appare in via teorica piuttosto significativo. Ma ci sono due variabili che, accanto ai parametri finanziari del capitale necessario, possono spostare molto la soglia di convenienza per un programma atomico che partisse da zero. Le variabili determinanti sono i tempi (la costruzione e la messa in marcia) e i prezzi del mercato elettrico quando la centrale futura potrà davvero andare a tutto vapore: le tecnologia concorrenti potrebbero essere più competitive. Commento unanime di tutti gli esperti: il vero nemico dell’energia nucleare è l’incertezza. La politica ondivaga italiana è più dannosa sui costi e sull’efficacia di un programma atomico più di tutti i ribellismi antinucleari.
Gli studiosi sono divisi nelle loro analisi. Ci sono i sostenitori della convenienza dell’energia atomica (spesso i loro studi sono promossi dall’industria elettronucleare) ma molti sono più prudenti e altri infine sono contrarissimi all’energia atomica (spesso con motivazioni che sembrano più vicine all’integralismo). Basta poco per spostare il risultato di un’analisi. Se si contano i soli costi di produzione del chilowattora, se il deposito per i rifiuti radioattivi è già disponibile o va realizzato da zero, se c’è già un’agenzia di controllo o se gli enti vanno istituiti, se si sommano i costi delle migliaia di anni di gestione dei rifiuti radioattivi, se si considerano anche le “esternalità” date per esempio dalle emissioni di anidride carbonica.
Non si considera mai che anche il nucleare emette CO2. «Certamente, non ne emette la produzione di elettricità da parte della centrale. Ma la produzione dell’uranio – avverte uno degli studiosi prudenti, Sergio Zabot – è un’attività mineraria e industriale piuttosto lunga e complessa che comporta tutta una serie di lavorazioni che richiedono l’utilizzo di combustibili fossili, di elettricità, di enormi quantità di acqua, di acido solforico e infine di fluoro, gas altamente velenoso e che provoca un effetto serra centinaia di volte più potente della CO2. E poi ci sono i cicli di trattamento dei rifiuti, lo smantellamento delle centrali fuori uso. Attività che chiedono energia fossile». In sostanza, Zabot? «Molti ricercatori hanno dimostrato che il funzionamento di un reattore nucleare comporta emissioni di CO2, considerando l’intero ciclo del combustibile, pari ad un terzo delle emissioni di un ciclo combinato a gas». Cioè un’emissione contenuta di anidride carbonica. Contenuta ma non pari a zero.

Se si irrobustiscono le fila degli autorevoli analisti e opinioni leader mobilitati a sostegno della convenienza nucleare, come il corposo studio appena presentato come pezzo forte della giornata conclusiva del Forum Ambrosetti di Cernobbio (si veda Il Sole 24 Ore del 6 settembre) secondo il quale solo con il nucleare in vent’anni potremmo allinearci ai costi europei dell’energia, risolvendo oltretutto il problema degli impegnativi limiti di emissione della CO2, il popolo del no, sempre in agguato, si prepara a rispolverare di altrettanto corposi e non meno autorevoli studi che dicono esattamente il contrario.
Nei contro-studi le bufale, clamorose, non mancano.
Un esempio? A fine luglio il New York Times (e in italia il Corriere della Sera) davano risalto a una ricerca condotta negli Stati Uniti secondo cui l’energia solare ormai costa meno ed è più competitiva di quella atomica. Esaminata quella ricerca statunitense dell’Nc Warn, ora Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni e Daren Bakst della John Locke Foundation hanno scoperto che non è vero. Il solare è più caro del nucleare. «Per quel che riguarda l’energia nucleare – spiega Stagnaro – i costi vengono sovrastimati senza riguardo all’evidenza disponibile in letteratura; per quel che riguarda l’energia solare, gli autori riducono il costo per tener conto dell’effetto dei sussidi. Prendendo sul serio la logica di quello studio, si potrebbe dire che un sussidio del 100% rende gratuita la produzione di energia. Lo studio ignora completamente la logica e il funzionamento del mercato elettrico. Anche impiegando la metodologica illustrata dallo studio, è facile dimostrare al contrario che l’energia nucleare è più competitiva di quella solare».
Ed ecco gli studi più equilibrati, che non sposano tesi premasticate. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia («The project costs of generating electricity: 2010 edition») il nucleare può convenire con bassi tassi di interesse sugli investimenti, attorno al 5%, ma già se si va al 10% il carbone risulta la scelta di generazione elettrica più conveniente, anche considerando gli oneri relativi alle emissioni di anidride carbonica. Le rinnovabili sono in crescita veloce e sono competitive tranne ancora il fotovoltaico, che avrà bisogno ancora a lungo di sostengo pubblico. Ma a noi italiani l’Agenzia internazionale dell’energia dà un monito: basta uno starnuto della politica volubilissima per ribaltare le convenienze degli investimenti energetici.
Cautela viene sui costi futuri dell’uranio. Diversi analisti avvertono che presto il minerale potrebbe rincarare e il gruppo finanziario Rbc Capital Markets ha stimato che nei prossimi anni – a partire dal 2012-2013 e fino al 2020 – sarà difficile trovare abbastanza combustibile nucleare.
Un altro monito arriva da un autorevole studio che il partito del no si appresta a rispolverare. Quello intitolato «New Nuclear, The Economics Say No» pubblicato da Citi Investment Research & Analysis (Citigroup) teme le incognite dei tempi di costruzione e della crescita dei costi, incognite che sono consuete in tutto il mondo (basta vedere i sovraccosti e i ritardi del progetto Epr di Olkiluoto, in Finlandia) ma che in Italia sono degne di una tragedia. Un ritardo di sei mesi all’accensione comporta – stima la ricerca – una perdita equivalente a 100 milioni di sterline in costi diretti e mancati guadagni.

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