Riceviamo e pubblichiamo l’intervento dell’Assessore all’Ambiente del Comune di Aquino dott.ssa Antonella Di Gennaro al convegno  Rifiuti e criminalità organizzata, Arce 11 Dicembre 2010

L’altro giorno, quando dopo aver richiesto all’assessore Vincenzo Colantonio, qui presente, quale argomento dovessi trattare, tra me e me, rimuginando su quest’argomento, mi trovavo a fare la spesa in un centro commerciale di Cassino, in coda alla cassa.

E in questi giorni, in cui ,anche in un momento di oggettiva difficoltà economica,vogliamo soprattutto fare i regali ai nostri amici e familiari, vedevo che i carrelli di quelli che mi precedevano alla cassa erano stracolmi di sacchetti di frutta e verdura, di latte in tetrapack o in bottiglie di plastica, mozzarelle confezionate, scatole di conserva etc.

Nella mia mente, perché lo avevo già annotato, proprio per utilizzare il dato in questo mio intervento di oggi, mi sovveniva la ragguardevole cifra di diciottomila tonnellate di alimenti che finiscono nella spazzatura, equivalenti al tre per cento del nostro Pil, sufficienti a sfamare circa quarantaquattro milioni di persone.

Immaginate una tale cifra come il tre per cento di crescita del Pil, alla quale nemmeno i Paesi con tutti i conti economici in ordine e da economia molto forte possono aspirare ed auspicare in questi momenti di grave recessione, che può essere recuperata per il nostro Paese, solo attraverso il riciclo e il recupero di tutto il cibo sprecato.

Il cibo sprecato, sempre vedendo i carrelli della spesa traboccanti, è dovuto ad acquisti in quantità sbagliate, alle modalità di acquisto sbagliate, in quanto sono preferite per comodità i prodotti confezionati rispetto a quelli sfusi, ed a una percezione sbagliata di sicurezza alimentare, ritenendo questi ultimi, ovvero gli sfusi più pericolosi, ai prodotti buttati perché in scadenza o addirittura scaduti, ma che in realtà possono essere riutilizzati, ritornando, noi, ad essere capaci di riciclare gli avanzi dandogli una nuova vita come alimento.

Per questo dobbiamo ricordarci di quando le nostre mamme, le nostre nonne, riuscivano a farlo attraverso la preparazione di quelle succulenti minestre, riutilizzando perciò tutto ciò che rimaneva nelle dispense.

Sono cifre da capogiro ed un enorme spreco.

Bisogna intessere una soluzione rivoluzionaria a questo problema, agendo su due piani, quello a livello individuale e collettivo e quello a livello pubblico, che modestamente rappresento.

A livello individuale non posso che richiamare l’attenzione sui comportamenti virtuosi così bene descritti nel decalogo della Coldiretti, a tutti voi noto e che qui non vale la pena ripetere e che comunque sposa la filosofia del chilometro zero.

A livello pubblico, non posso che affermare, anche per la mia estrazione culturale e politica, che lasciare fare tutto al mercato, non è più possibile perché ciò comporta una divaricazione sempre più ampia della forbice tra una offerta di cibo, la più sofisticata possibile, e voglio precisare qui che non riguarda il livello sanitario che comunque è ottimo, ma il livello pubblicitario e di offerta commerciale e una sempre maggior parte di cittadini a non poter raggiungere e soddisfare i livelli minimi delle proprie esigenze alimentari.

Il pubblico, come io penso, potrebbe far leva e agire favorendo l’accesso ai contributi  delle botteghe dei centri storici, con ciò soddisfacendo anche un livello di sicurezza percepita, perché più attività sono aperte, di coesione sociale e di incentivare la cosiddetta filiera corta, attingendo alle risorse messe a disposizione utilizzando quel tre per cento che abbiamo prima individuato.

È un paradosso tutto questo: da una parte un’offerta allettante e dall’altra parte un numero sempre maggiore di persone che non possono permettersela.

È un momento di prodotti usa e getta, supermercati e ipermercati realizzati col solo  scopo di farci comprare sempre di più cibo che poi siamo costretti a buttare e, quindi, pagarlo due volte, una per comprarlo e l’altra per smaltirlo, tutto in un crescendo paradossale.

Vale la pena ricordare solo alcune cifre, le quali ci dicono che ogni famiglia butta, letteralmente butta, nella spazzatura circa ventisette chili di cibo, per un equivalente di 515 euro, con 17.775.586 tonnellate che potrebbero servire ad integrare il fabbisogno alimentare di circa 44 milioni di individui, con un recupero del tre per cento del Pil.

Bisogna, poi considerare, il tutto anche ai fini ambientali, in senso negativo ,però, perché ogni tonnellata di cibo nella spazzatura genera a sua volta 4,2 tonnellate di CO2.

Equivale questo a togliere una automobile su quattro sulle strade.

Questo mio intervento vorrebbe evidenziare più l’aspetto della prevenzione ,ovvero produrre meno rifiuto in qualunque modo ,rispetto ad una discussione sulle possibili modalità di smaltimento,che tanto preoccupa.

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