E cosi’ la Spagna si riscopre finalmente bella e vincente. A 44 anni dall’ultimo (e unico) sussulto iberico, un intero paese torna a festeggiare le gesta di Villa (principe dei bomber con 4 sigilli) e compagni. Le “furie rosse” salgono sul tetto più alto d’Europa al termine di un torneo impeccabile che ha messo in vetrina un collettivo intraprendente e volitivo, un’ orchestra sapiente ed armoniosa capace di recitare in modo straordinario lo stesso spartito. Una squadra estremamente giovane guidata dal “vecchio profeta” Luis Aragones, protagonista di un vero e proprio capolavoro tecnico tattico. Nuovo e vecchio si fondono così in una perfetta sintesi fino all’impresa finale. Un successo fortemente inseguito dalle “furie rosse” che, oltre a porre fine al loro lunghissimo digiuno, hanno sfatato altresì’ lo stantio luogo comune secondo il quale le squadre che sanno giocare al football, tutt’altro che speculari, oltremodo tecniche, capaci di belle trame di gioco e fraseggi sul velluto, siano destinate a non vincere nulla. E’ la vittoria della Spagna, non c’è dubbio, ma l’Europeo appena trascorso (uno dei piu belli degli ultimi anni) ha sancito anche la rivincita del gioco del calcio, nella sua accezione più pura: il calcio di altri tempi, fatto di architetture lineari, trame sulle fasce, possesso palla reiterato (la classica “melina”, storica peculiarità degli spagnoli), capacità mirabile di colpire nel momento topico del match. Una compagine, quella spagnola, non trascendentale o memorabile ma composta da calciatori disciplinati tatticamente, dotati di una essenzialità e cinismo disarmanti, sempre con la testa dentro la partita. La finale contro la Germania è stato proprio la sintesi di tutto questo. Una gara praticamente perfetta, interpretata con grande lungimiranza tattica dagli iberici, colti di sorpresa dall’avvio arrembante di un indomita Germania ma, una volta trovato il gol con Torres, in grado di salire in cattedra rubando la scena e legittimando poi nel corso della ripresa una vittoria esigua nel punteggio ma straordianariamente preziosa e significativa nelle proporzioni. Un epilogo legittimo che ha la forza di riabilitare perfino il nostro europeo (a proposito, auguri al neo ct Marcello Lippi) grigio ed incolore quanto si vuole, ma spentosi proprio sotto i colpi mortiferi di Fabregas e compagni, ai quali ci siamo arresi, peraltro, solo ai rigori. Tutto questo potrebbe suonare come una magra consolazione ma di fatto siamo stati gli unici a non essere stati battuti dai neocampioni nell’arco dei 120 minuti. Un europeo che ci ha detto come a volte sbagliamo a sottovalutare bellissime realtà come la Russia dell’olandesissimo e valente Hiddink capace di umiliare (quando si dice il destino) proprio la nazionale di Marco Van Basten, partita fortissimo ma poi scioltasi come neve al sole. Rimarranno memorabili le giocate del folletto Arshavin già appetito dai club di mezza Europa. Sicuramente il calciatore che ha rubato più l’occhio rispetto a tutti gli altri. Così come la Turchia di Terim, protagonista di un gioco più maschio e antico ma non per questo meno spettacolare. Le delusioni si chiamano Toni e Cristiano Ronaldo. Il portoghese è giovane e avrà modo di consumare la sua rivincita, per il nostro Luca l’anagrafe è impietosa ma vogliamo essere ottimisti. Resta comunque la consapevolezza di aver assistito ad un europeo divertente e godibile vinto dalla squadra che più lo ha meritato.
Libero Marino